Nell’epoca in cui sembra che tutti possano dire tutto, in tanti si stanno chiedendo se è possibile mantenere sotto controllo la diffusione veloce di fake news o informazioni non veritiere. Dal giorno in cui qualsiasi persona avente un accesso alla rete internet è stata libera di esprimere la propria opinione senza contegno alcuno, circolano in rete informazioni non corrispondenti alla verità e il rischio, in ogni ambito della nostra vita, anche in quelli più importanti come quello scientifico o sanitario, è di trovare informazioni false, ma che dai più vengano prese come verità assolute.
Un vero e proprio annullamento della complessità delle cose. Che non è semplificazione, ma banalizzazione.
Come fare quindi, a ristabilire ordine?
In molti se lo chiedono e, ad ora, anche le istituzioni si stanno prodigando in tal senso, riconoscendolo come un problema importante. Anche se la tecnologia ci può essere d’aiuto, ad oggi non esiste sistema in grado di riconoscere le false informazioni, soprattutto al fine di non ledere un altro diritto: quello di poter esprimere liberamente la propria opinione.
Ecco che diventa l’educazione, ancora una volta, il nodo attorno a cui il dibattito punta i riflettori.
Quanto alla comunicazione, anche i vari ordini professionali come quello dei giornalisti si stanno adoperando (con la solita calma del caso) per capire come poter applicare codici deontologici alle nuove professioni digitali legate creazione e diffusione di informazioni, come quella del copywriter, del content creator o del social media manager: lavori, di fatto, molto simili e in linea alla professione tutelata, quella giornalistica.
Professioni attualmente allo sbando, in cui è difficile orientarsi tra i professionisti seri (che ci sono) e i sedicenti professionisti, senza competenza e con poco senso etico.
Senza entrare nel merito dei recenti food content creators, che spesso diventano dei fenomeni pericolosi pure per se stessi e la propria reputazione, nell’ambito della comunicazione aziendale della ristorazione e della produzione enogastronomica viene data sempre meno importanza alla correttezza scientifica, pratica e sanitaria delle informazioni che vengono utilizzate per raccontare la propria offerta, cercando sensazionalismo, banalizzando o dando informazioni errate. Soprassedendo alle situazioni in cui volontariamente si raccontano cose non vere allo scopo commerciale di vendere maggiormente, noto che vengono fatti errori spesso non per volontà, ma per mancata conoscenza e al fine di ottenere maggiore visibilità, in modo assolutamente fine a se stesso.
Tralasciando errori di comunicazione che potenzialmente mettono a rischio la salute delle persone, ecco che anche nel piccolo ci sono esempi apparentemente innocui, ma sostanzialmente fuorvianti: razze suine come la Mangalica diventano il suino Wagyu, funghi coltivati e raccolti da primavera a fine estate vengono osannati in autunno per la loro stagionalità, verdure tipicamente invernali vengono utilizzate in piatti estivi e raccontate come se fossero del periodo.
Solo per fare qualche esempio.
Il problema è poi che le persone ci credono; utilizzano le informazioni che trovano sui social per apprendere, pensando che profili rappresentanti realtà professionali di questo mondo siano fonti autorevoli. E lo dovrebbero essere in realtà, perché quando scegliamo un ristorante o un prodotto gastronomico, scegliamo di fidarci nel mettere sotto denti quello che viene proposto, con competenza e professionalità (a volte, leggendo o sentendo alcune affermazioni, ammetto che alcuni dubbi mi vengono).
Noto che nel settore, tra gli operatori, vi è una voglia comune di informazione corretta e coerente. Vengono giudicati e contestati giornalisti, testate, blog, come se il problema fosse esterno rispetto al proprio operato.
Quanto è importante invece scegliere bene a chi affidare la strategia di comunicazione della nostra attività e, di conseguenza, la nostra reputazione? Quanto è importante dare informazioni veritiere, in modo tale che il consumatore possa essere sempre più interessato e consapevole delle proprie scelte? Quanto è importante comunicarsi con etica e autenticità, senza cadere nella trappola dell’autoreferenzialità?
In tanti si lamentano e altrettanti continuano a fare ciò che fanno gli altri, pensando sia sempre la cosa giusta.
Si perpetua nell’osservare la pagliuzza nell’occhio altrui invece di prendere coscienza della trave nel proprio di occhio: e la situazione peggiora sempre più.
